Emiliano, non chiudere i punti di primo intervento…fermati!

 

Rimodulazione dei PPI in PPIT, altro che chiusura. Fermatevi.

I PPI come sono intesi oggi, a seguito della trasformazione dei vecchi ospedali che avevano la possibilità di fare diagnostica di primo livello, creano aspettative di cure nei cittadini che poi, spesso, non possono essere soddisfatte traducendosi in una inutile spesa e, soprattutto, in una perdita di tempo che per le patologie più gravi può divenire fatale. Se, invece, fossero trasformati in punti di primo intervento territoriali da allocare negli ospedali di comunità, nelle casa della salute o nei PTA che dir si vogliano, diverrebbero un luogo dove attraverso le aggregazioni funzionali, i centri polifunzionali territoriali della medicina di base, l’infermiere di comunità, una diagnostica di base, i PDTA, il trattamento delle cronicità, la specialistica ambulatoriale, etc… creerebbero quel filtro territoriale la cui assenza oggi intasa i triage dei Pronto Soccorso che sono già al collasso. Tale rimodulazione eviterebbe l’inappropiatezza che quotidianamente viene perpetrata negli ospedali per acuti, dove, invece, afferiscono i codici bianchi e verdi che rappresentano l’80% degli accessi totali, e tutelerebbero la salute dei residenti. È semplicemente assurdo pensare di chiudere oggi tutti i PPI, peraltro previste dal settembre 2017, non tenendo conto degli accessi, dell’orografia del territorio, della distanza dai nosocomi e dell’assoluta inadeguatezza del territorio. È assurdo perché tale scelta non può essere assunta prima di aver strutturato e ristrutturato il territorio così come sopra riportato e previsto dalla legge istitutiva dei PPI, pertanto, va modificata la Delibera di Giunta 239/2017 e il regolamento 14/2015 relativi al piano di riordino ospedaliero, rimodulando il cronoprogramma con i tavoli ministeriali affiancati del MEF e del MIS. Sostituire con l’ambulanza o l’auto medica il presidio territoriale non garantisce l’incolumità, in maniera continuativa, dei cittadini. Il DM 70 non può avere priorità a danno della collettività e lo spauracchio dell’ennesimo programma operativo triennale non può essere una giustificazione plausibile.

Tenuto conto che ci possono volere anche più di tre ore per trasferire un paziente, comprendendo l’attesa per sbarellarlo, il ritorno in postazione, con previsioni peggiorative se si procedesse con la chiusura o in caso di maltempo, chi garantirebbe tutti gli altri cittadini nel frattempo da altre urgenze e emergenze?

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